Le Tradizioni
La
Madonna della "Ricotta" e
l'Addiaccio
“Viveva in Antiochia, in epoca imprecisata, certo anteriore al sec. XIV, un’immagine della Vergine che fu, in un secondo tempo, trasferita a Costantinopoli, nel sontuoso tempio che la vergine Pulcheria, della famiglia imperiale, aveva fatto erigere per celebrare la vittoria riportata nel concilio di Efeso sugli eretici nestoriani. L’imperatore Baldovino, esule, portò con sé la sola testa di quell’immagine (che doveva quindi essere già miracolosa e assai venerata) a Napoli. Questa finì poi nelle mani di Caterina II di Valois, che la donò nel 1310 al santuario di Montevergine. Cosi, da Costantinopoli, il culto di quest’immagine si trapiantò a Montevergine d’onde poi, col tempo, si diffuse all’interno di ciascuna delle diocesi vicine e, probabilmente, a Pietracatella”.
Sono queste le vaghe notizie storiche riguardanti il culto della Madonna di Costantinopoli che si leggono in un opuscoletto del 1957 curato dalla Congrega. Occorrerebbe una ricostruzione storica più precisa ed esauriente, sulle origini del culto e sulla sua diffusione nel sud Italia, ma in questa sede il nostro intento è quello di puntare l’attenzione su una determinata tradizione compresa nel culto della Madonna di Costantinopoli. Tale tradizione ha poco a che vedere con le intricate vicende bizantine, ma si spiega facilmente alla luce dell’economia di Pietracatella, basata sulla giustapposizione di allevamento e agricoltura. Come per le origini del culto, anche delle modalità che questo ha acquistato nel corso dei secoli non conosciamo molto. Fatto sta che delle originalità nella celebrazione dovettero esistere ed esistono tuttora, tant’è che quella per la Vergine di Costantinopoli è l’unica festa del paese che riceve contributi dalla Provincia per la sua specificità ed interesse.
Le consuetudini che si dispiegano nei giorni precedenti a quello ufficiale dei festeggiamenti, la notevole affluenza ad essi di gente non solo di Pietracatella (Campobasso), alcuni connotati della lunga processione, rendono la festa della Madonna tanto antropologicamente interessante quanto suggestiva. Tra le maggiori caratteristiche della celebrazione c’è quella che a noi più direttamente interessa, cioè la produzione di formaggio e ricotta della Madonna: Maria di Costantinopoli è conosciuta anche come “Madonna della ricotta”.
In passato, nel giorno della festa, il popolo beneficiava di una ripartizione gratuita di formaggio e ricotta, ottenuti dal latte delle pecore che erano portate all’addiaccio sulle terre della Madonna. Bisogna ora mettere a fuoco cosa significhi l’addiaccio e cosa significhi la produzione di formaggio per Pietracatella. Questi due elementi furono parte integrante del contesto socio-economico del paese e vederli inseriti in un culto religioso dalle chiare caratteristiche locali, è segnale di quanto incisivo risultasse il mondo della pastorizia. In sostanza è opportuno vedere nell’attività pastorizia il substrato da cui è emerso l'aspetto sui generis del culto della Vergine, che qui ci proponiamo di analizzare.
Cos’è l’addiaccio? Etimologicamente la parola deriva dal latino e significa “giacere sopra”. L’addiaccio è una stanza delle greggi su determinati terreni a scopo fondamentalmente concimativo. A Pietracatella, ma tale era la realtà di buona parte del Molise, fino agli inizi del nostro secolo non erano conosciuti concimi chimici, cosicché le scorie organiche erano l’unico mezzo di concimazione dei campi.
Galanti, un erudito della seconda metà del ‘700, parla così dei metodi di sfruttamento della terra in Molise. “Le terre stercorate dalle pecore danno sempre il doppio e spesso il triplo. I concimi operano per fermentazione. L’uso di incendiare le restoppie, sebbene attivo a sminuzzare il terreno, e poca cosa. Il letame ha maggiore attività perché più sostanzioso. La stercorazione delle pecore non ha bisogno di essere smaltita. Qui si usa generalmente quando si può avere e le terre danno il dodici e a volte anche il venti. A Pietracatella in quest'anno dalla stercorazione un agricoltore ha ricavato il venticinque per uno”. L’addiaccio, dunque, doveva risultare una necessità per gli allevatori. Questi ultimi mettevano insieme le greggi che a rotazione rimanevano al pascolo sui terreni dell’uno e dell’altro. Si ritiene che in alcune zone del Molise l’addiaccio fosse fatto con le sole capre. A Pietracatella ciò non accade. Ogni gregge era costituito da pecore e da poche capre.
Sebbene scopo fondamentale della prassi fosse la concimazione, i pastori godevano di altri tornaconti. Durante il periodo di stanza su un terreno, il proprietario di questo o il pastore di turno, prendevano per sé tutto il formaggio ricavato dal latte munto. Si può immaginare quanto ciò fosse benefico per gli allevatori, la maggior parte dei quali praticavano niente altro che una pastorizia di sussistenza. A questi due fattori che giustificavano l’addiaccio, se ne può aggiungere un terzo non meno importante, ossia la fecondazione di molti capi che avveniva durante il periododi stanza.
Tornando al culto della Vergine di Costantinopoli e alle sue prerogative esclusivamente pietracatellesi, concludiamo che i pastori del paese non fecero altro che trasferire l’addiaccio e la produzione casearia su piano religioso-caritatevole, e scelsero a questo scopo la più sentita festa popolare del centro. Iniziarono così a portare i loro animali sui terreni consacrati alla Madonna e destinare alla beneficenza i prodotti ricavati dalla mungitura e dalla cagliatura. La produzione casearia è un annesso fondamentale dell’allevamento ovino del paese.
Il Longano, nel 1790 dice: “Il formaggio di Pietracatella è tra i migliori deliri Provincia. Cambiatemi il massaro, che la manipola, la ricotta non è più la medesima. Sicché la sua varietà non si deve almeno tutta all’erbaggio, ma alla mano più o meno perita. Monacilioni, Sant’Elia, Celenza, la Riccia, Jelsi sono propingue il territorio di Pietracatella e pure il formaggio di quest’ultima esce quasi tutto dalla provincia, laddove quello degli altri non si trova a barattare nei paesi propri. Nel pieno non ho inteso più l’uno che l'altro celebrare”.
E così il Giustiniani nel 1804. “Avendo Pietracatella degli eccellenti pascoli, vi riescono i formaggi sqiusitissimi e molto desiderati dalle altre popolazioni del regno”.
Il quadro finora tracciato riguarda sicuramente le pratiche e i loro “transfert” religiosi che vigevano a Pietracatella nel 700 e nell’800. Non ci resta quindi che guardare nuovamente al culto della Vergine e a come esso si sia evoluto nel corso dell’ultimo secolo, per concludere che è rimasto legato alla struttura economica e sociale di Pietracatella. È chiaro che attualmente l’addiaccio non è più praticato in paese, ma ciò non significa che sia scomparsa la piccola e media attività pastorizia, di cui si è detto, e la relativa produzione casearia.
La produzione del formaggio della Madonna sì e interrotta durante un lungo periodo che va dal primo dopoguerra alla fine degli anni 70. Le cause di questa interruzione sono molteplici e variano a seconda dei decenni. Si può ipotizzare che le guerre frenarono i festeggiamenti e le consuetudini ad essi legate e che, un paese impoverito e stremato non avesse più i mezzi per garantire la pia opera di distribuzione di formaggi. Successivamente, il “modernismo” colpì anche la festa della Madonna della ricotta. Dagli anni 60, con il boom dell’emigrazione verso città industrializzate, diminuisce il numero di persone che si dedica all’allevamento e la produzione domestica di molti prodotti gastronomici subisce un calo. La situazione torna ad evolversi agli inizi degli anni 80, quando si diffonde una sensibilità verso ciò che è tradizionale e tipico; riprende a questo punto l’usanza della produzione casearia in onore della Vergine. Non è solo dal latte di pecora che si ricavano ricotta e formaggio, ma da questo mescolato con latte di mucca: sono i nuovi contadini del luogo che offrono il loro prodotto.
Così negli ultimi anni, in occasione della festa, si è tornato ad assistere alla scena della cagliatura “di massa”. Nei giorni precedenti alla Festa ufficiale, le massaie del paese sono tornate a riunirsi per raccogliere il latte e cagliano sotto gli occhi dei visitatori. La domanda che preme a questo punto è la seguente: c’è ancora segno della famosa struttura nella ripresa consuetudine di cagliare il formaggio della Madonna o quello cui di nuovo si assiste è solo un revival, una nostalgica reminiscenza di remote pratiche? Per rispondere al quesito ancora una volta guardiamo al contesto economico e sociale attuale di Pietracatella. Se prescindiamo dalla presenza diffusa di una piccola e media borghesia e consideriamo la popolazione di età superiore ai 50 anni, constatiamo che la maggior parte di questa è tuttavia contadina. Inoltre dietro la borghesia e gli impegni da essa svolti esiste come realtà costante “il campo”; è difficile incontrare in paese famiglie che non possiedano un appezzamento di terra. Il fondo contadino di Pietracatella non è scomparso e accanto alla coltura dei campi continua a porsi l’allevamento. La produzione di latte e la trasformazione di questo in prodotti caseari esistono ancora in paese, anche se la struttura agricolo-pastorale e la conseguente produzione sono allentate e contaminate da altre attività.
Ancora, è fenomeno dell’ultimo decennio l’attivismo di giovani del posto, che si sta concentrando sempre di più, come di seguito si osserverà sulla valorizzazione delle “vocazioni” di attività agricolo-pastorali del paese. Il primo aspetto riguarda un’attenzione nuova e più consapevole verso le tradizioni e il folklore: la diffusione di una volontà non solo di rivivere o rivisitare il passato con una sagra paesana (bella quanto si vuole ma pur sempre sagra) ma di “conoscerlo”, per ritrovare in esso quel tanto di storia individuale e comunitaria che ci fa, appunto, comunità specifica, che ci da un’identità che si rischia di perdere. Un altro aspetto da non sottovalutare è l’esigenza, sentita da più parti e soprattutto giovani, di creare spazi lavoratori in loco. Una più matura coscienza critica, un più disincantato giudizio sui futuri sviluppi economici del nostro paese, ha portato molti alla conclusione che bisogna impiegare tutte le proprie energie per far decollare il sud senza stravolgerne l’identità. Questo vuol dire valorizzare i! valorizzabile, che è, quando dire, nello specifico del nostro paese, cercare di dare presagio ai nostri prodotti agricoli e/o dell’allevamento, prodotti apprezzabili fin dall’antichità per le loro spiccate caratteristiche qualitative. E dunque perché non riconvertire a pascolo tutti i terreni della Madonna (e non solo quelli!) e recuperare la tradizione casearia così come ci viene “insegnata” dal culto della Madonna della Ricotta, cioè come lavoro omogeneo e comunitario?
Antonella Angiolillo, Antonio Giorgio – APA Campobasso